Manifesto di vita

Il regista Giovanni, ultimo alter ego di Moretti, vuole raccontare la politica attiva nella periferia romana degli anni Cinquanta, affidando alla coppia di Ennio e Vera i dilemmi morali del Partito Comunista Italiano; tra l’arrivo del circo Budavari e l’invasione sovietica a Budapest, le riprese del film s’incrociano col privato di Giovanni e della moglie/compagna di lavoro Paola, impegnata a lanciare un esordiente alla regia che verrà preso di mira da Moretti stesso, motivo quasi scatenante della loro separazione. Intanto il produttore Pierre non si dimostra più credibile per Giovanni, che sogna un nuovo film tratto da Il Nuotatore di Cheever e un altro dove due ragazzi s’innamorano sulle note di canzoni italiane… Il Sol dell’Avvenire è il deciso ritorno dell’autore a una poetica personalissima e vitale, facendosi protagonista assoluto di un inno al cinema che non si limita alle citazioni ma affronta la crisi della sinistra e dei sentimenti con mirabolante sintesi, fino a riscrivere la Storia senza facili nostalgie. Ecco allora che il potere della Settima Arte allevia le difficoltà esistenziali di Moretti, fiducioso nell’atto creativo e ostinato nel difendere un’etica dell’immagine contro la violenza da intrattenimento (sequenza-cult davvero ilare e alleniana che vede partecipazioni speciali); resta la voglia di raccontarsi con una multiforme sceneggiatura scritta insieme a Francesca Marciano, Federica Pontremoli e Valia Santella, oltre allo sguardo rivolto a Fellini che simboleggia un mondo scomparso (non solo per la presenza dei circensi ungheresi) e all’appiattimento globale che i dirigenti di Netflix esprimono nel what the fuck richiesto a Giovanni. Nella famiglia attoriale di quest’ultimo c’è spazio per la fermezza del ritrovato Silvio Orlando, l’idealismo luminoso di Barbora Bobulova, un frivolo Mathieu Amalric e ovviamente la musa Margherita Buy, senza dimenticare validi giovani quali Arianna Pozzoli, Valentina Romani, Giuseppe Scoditti e Blu Yoshimi, tutti riuniti da un Moretti che scandisce con ardore il suo stato delle cose e c’invita a danzare sull’esempio del caro Battiato. Il Sol dell’Avvenire riafferma un’ironia e disillusione che da Sogni d’Oro porta ad Aprile, mantenendo elementi riconoscibili (gli odiati sabot, le canzoni in auto, il set problematico, i calci solitari al pallone…) ben integrati con il rito di Lola, i sopralluoghi in monopattino, il coinvolgente momento-musical del brano di Noemi, i finanziatori coreani e un’utopia rossa che culmina nella meravigliosa, commovente parata finale. Se la frase di Calvino su Pavese viene sottolineata per infondere pathos all’amore perduto, le scelte artistiche di Moretti (dalla funzionale colonna sonora al montaggio) compongono un affresco tenero, divertente e malinconico per inserirsi appieno nell’attualità e sognare ancora in una sala cinematografica. Ad appena un anno e mezzo dallo sfortunato Tre Piani, l’autore romano si riprende quella scena che lo ha reso personaggio discusso quanto unico. Bentornato Nanni.